FANCY 1

Qualcosa per riflettere, pensare, sognare...alzare il "punto di vista"...

DALLA TRINCEA SUL DON - Inverno 1942

Prologo

Quello che sta accadendo in Germania è una questione della massima gravità e riguarda tutto il mondo civile. Nel corso degli ultimi centocinquant'anni il popolo tedesco ha promosso la civiltà più degli altri popoli di qualsiasi altro paese del mondo; poi, durante la seconda metà di questo periodo i tedeschi, tutti insieme, sono stati ugualmente efficaci nel far tornare indietro un simile livello di civiltà. Oggi i nomi più illustri dell'educazione sono ancora tedeschi, così com'è tedesco il governo più degradato e brutale. Molti di quelli che con il loro lavoro hanno contribuito al grande rispetto maturato dalla Germania sono in esilio, altri nascosti, altri ancora scomparsi e il loro destino sconosciuto. Dopo un paio di anni  di dominio nazista la Germania sprofonderà al livello di un'orda di goti.

         Com'è stato possibile? E' molto semplice: quegli elementi della popolazione sia brutali che stupidi ( e queste due qualità di solito vanno sempre insieme )si sono uniti contro gli altri. Con l'omicidio, la tortura,la reclusione, con il terrorismo delle forze armate hanno sottomesso la parte intelligente e umana della nazione.  E ciò che è accaduto in Germania potrebbe accadere altrove.  

                La causa fondamentale del problema è  che nel mondo moderno lo stupido è arrogante mentre l'intelligente è pieno di dubbi...Dopo la sconfitta della rivoluzione francese, la democrazia, screditata dal regno del Terrore, ha riconquistato il mondo partendo dall'America. Forse è destinata ancora una volta a salvare l'Europa dalle conseguenze dei suoi eccessi.

               B. Russell                   10 Maggio 1933

 

Russia -    

              Capitolo I°              - Dicembre 1942

             Fu l'inverno più freddo nell'arco di cento anni, quello del '42 in Russia. Il Don era una tale lastra di ghiaccio che anche i carri armati potevano tranquillamente passarci sopra ma lì era il fronte e lì i nostri soldati avevano scavato delle lunghissime trincee sugli argini del fiume; era già passato un mese che da lì non uscivano poiché anche i Russi avevano fatto lo stesso al di là della loro sponda...

              Proprio lì si trovava mio padre Lido, insieme a molti altri, giovani sciagurati sottratti alla famiglia e spesso, come lui, con una moglie a casa, in attesa di un improbabile ritorno; lì, in quel buco del mondo, immersi nella fanghiglia, con vestiario rimediato a seconda dell'inventiva singola, poiché le scarpe di ordinanza, con le suole del tutto inadatte, si disfacevano nell'umido; lì dove ogni mattina facendo la conta dei compagni, trovavano qualcuno con la gola tagliata. Sì, perché ogni notte i russi, che conoscevano perfettamente il loro territorio, scivolavano silenziosi sul ghiaccio per venire nelle nostre retrovie e cogliere qualcuno nel sonno                              .

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Serafino

                ... Una mattina, nel molliccio camminamento della trincea, una faccia
 che a mio padre sembrava conosciuta, avanzava nella nebbia: I soliti effetti dei
 morsi della fame, pensò, forse siamo al limite in cui si cominciano a vedere i 
fantasmi, maledetta guerra, non ne usciremo più vivi.
          Ma quell'uomo continuava a camminare verso di lui, gli sguardi erano 
incollati l'uno sull'altro, la vibrazione era palpabile, non poteva essere un caso, 
possibile che un castagnetano, uno del suo paese, della sua strada, fosse 
capitato proprio lì con lui?
          Invece si, era proprio lui, Serafino, uno che anch'io ho conosciuto bene
 successivamente; in fondo a quella stessa strada in cui ha abitato fino alla morte,
 aveva un piccolo laboratorio dove faceva le "bruscole", manufatti che servivano
 per la spremitura delle olive. Un tipo introverso, suscettibile, facile preda di scatti
 d'ira ma, quando voleva,capace anche di  umanità, di gesti di grande generosità.
      " Disgraziato!" - Disse mio padre",
  "Hanno mandato anche te in questo inferno, quì non si esce vivi, ci ammazzano
 tutti!"  - "Cosa? - rispose Serafino - Ho chiesto io di venire quì in prima linea a
 lottare per la patria, e quando ho saputo che c'eri anche
 te sono venuto a cercarti".
-  Quà s'impone una parentesi di chiarificazione sulla persona: i castagnetani 
che leggeranno queste righe, lo avranno sicuramente già riconosciuto; Serafino
non era un soldato qualunque, era sempre stato un attivista del partito fascista,
si era sempre distinto ed aveva conoscenze molto in alto all'epoca, ( non è un 
caso che a Roma, il presidente del tribunale speciale - che con processi del 
tutto sbrigativi eliminò molti oppositori politici- fosse un altro castagnetano ) 
cosicché, sia come sia, sotto le armi faceva un po' quel che voleva; posso
citare a dimostrazione di questo la volta che, 
essendo Lido ricoverato in ospedale da campo a ottocento chilometri di distanza,
prese una macchina militare con attendente a sua disposizione e lo andò a trovare
 - ma questa è un'altra storia...
 


 

Il freddo

           ... e intanto i giorni passavano, con razioni alimentari ormai scarsissime; anche per bere qualsiasi cosa era un problema perché tutto, anche l'alcolico, era un blocco di ghiaccio e occorreva metterlo sul fuoco, così come i panzer tedeschi che non si avviavano se non gli accendevi il fuoco sotto.
                 E non pensare di poter toccare la canna del fucile ( così come qualsiasi altro metallo ) a mani nude perché ti rimaneva "attaccata" e per lasciarla dovevi strapparci sopra brandelli di pelle.
                A noi sembra strano ma anche le funzioni corporali a 40° sotto zero diventano problematiche: anche un liquido come l'urina, che esce caldo dal corpo, gela ancora prima di toccare terra, cosicché è successo a più d'uno di ritrovarsi congelato nella parte più "delicata"- come infatti toccò di vedere anche ai "nostri".  La cosa non è immediata; sul momento non ti accorgi di niente, ma dopo qualche ora inizia il processo di necrosi e i forti dolori ti costringono a verificare la parte che diventa scura. Il poveretto, ricoverato, un paio di giorni dopo, dovette subire l'amputazione del pene.
               Ma nonostante tutto, qualche lettera a casa che descriveva la situazione, evidentemente era arrivata, perché seppi che mia nonna Argia, quando la trovavano fuori in piena notte e gliene chiedevano il motivo, rispondeva: "Se mio figlio patisce tanto freddo, è giusto che ne patisca un po' anch'io, così gli sarò più vicina!" -  E' una cosa che ancora oggi, pensandoci,  mi fa accapponare la pelle.
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                    Da qualche giorno il nostro Serafino non si vedeva; - Lido pensò che fosse una cosa temporanea, dovuta ad ordini superiori, magari qualche incarico speciale per uno come lui che voleva sempre farsi distinguere, ma poi, non vedendolo più cominciò a temere il peggio.

                    Chiedeva notizie a chiunque gli capitasse ma nessuno ne sapeva nulla. Fu solo dopo diversi mesi, nella fase di rientro dal fronte che ebbe la conferma che era vivo. Che in quei giorni, evidentemente rendendosi conto che le parole di mio padre erano la semplice realtà della situazione,
si era tranquillamente spostato nelle retrovie, nella sanità, molto distante dal fronte... Bene, pensò Lido, "buon per lui che ha potuto farlo, speriamo di rivederci a casa".
                    Così fu infatti, ma intanto in quelle trincee le cose andavano peggiorando; erano infatti gli ultimi giorni che precedevano il totale sfasciamento, dopo che i russi riconquistarono Stalingrado che i tedeschi erano riusciti ad occupare in gran parte. Fu la battaglia che decise le sorti della guerra perché fu da lì che partì la controffensiva russa, per non fermarsi più fino a Berlino.
                     Ora, vedendo sulle carte la relativa distanza da dove si trovava mio padre, sul Don, ricordo bene quando mi raccontava il terrificante spettacolo di luce a cui assistevano per tutta la notte: - erano le katiusce che erano entrate in azione a Stalingrado, ma non pensavano che da lì a pochi giorni avrebbero anche loro sperimentato direttamente quello che chiamavano "l'organo di Stalin".
                                            In effetti quando vediamo i documenti originali ( che purtroppo sono pochi ) possiamo avere solo una pallida idea  degli effetti devastanti non solo fisici ma anche psicologici di questa nuova arma: dislocata in una linea di migliaia di postazioni, sparava a raffica una serie di razzi che inondavano il nemico di fuoco; niente e nessuno poteva salvarsi a meno di trovarsi in un rifugio antiaereo; pare che in questa occasione siano stati lanciati più di un milione di razzi, tutto il terreno veniva raso al suolo, oltre questo solo la bomba atomica ( che sarebbe arrivata da lì a poco ).
                       La katiuscia era la risposta ad un'altra arma terrificante dei tedeschi: anch'essa usava oltre al bombardamento il ricorso al terrorismo psicologico, erano gli stukas, aerei da combattimento che a gruppi si gettavano in picchiata quasi verticale con sirene dal suono terrificante.
.Documenti STUKA Azionate dall'aria della picchiata "le trombe di Gerico", VIDEOcosì furono nominate, aumentavano il rumore fin quasi al suolo, quando sganciavano il loro "confetto" un attimo prima di risalire; ci fu gente che da questo bombardamento ne uscì letteralmente impazzita.


     Lo chiamavano " L'organo di Stalin"








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DOCUMENTI DAI GIORNALI DELL'EPOCA    




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Capitolo II°   - Fronte sfasciato - Si salvi chi può

                          Dunque, torniamo ai nostri che ora, dopo lo sfascio completo del fronte sul Don, si trovavano a dover affrontare altre e per la maggior parte di loro letali, peripezie e tuttavia, quasi sollevati dal fatto che non si vedeveno più piovere bombe sulla testa, si raggruppavano per organizzarsi nella ritirata in una sorta di sommessa allegria, non immaginandosi che in quella ritirata sarebbero stati sterminati dal freddo e dalla fame.
           Quei pochi infatti che sfuggirono alla tragica sorte, lo dovettero secondo me a particolari capacità personali di inventiva e improvvisazione, abilità singole e volontà caparbie, come al solito, tutte italiane.
            Mio padre era sempre stato abituato fin da piccolo a trattare con i cavalli; era una famiglia di quelli che oggi chiamiamo "autotrasportatori", solo che come mezzo di trasporto all'epoca c'era il famoso barroccio trainato da cavalli: - nella stalla di Castagneto, in Via Umberto, subito sopra al "Moro", la cura di quegli animali ( che lui mi ricordava essere intelligentissimi ), era principalmente affidata a Lido, che era il più piccolo ma era presto diventato assai abile nell'accudire "le bestie" e provvedere a tutte le loro necessità;  durante il giorno si dovevano sgroppare notevoli carichi su quelle strade sempre immancabilmente sterrate.


            Però, quando il piccolo Lido non era impegnato a "spaccare le pietre" nella fossa di Bolgheri ( dovrei aprire un'altra parentesi per parlare un po' di quell'infame mestiere, appunto lo spaccapietre di cui conservavo fino a pochi anni fa il testimone, il particolare martellino ) seguiva sempre sul barroccio il fratello Alamanno, il patriarca:- Si perché era il più grande fra sette fratelli e sorelle ai quali lui doveva fare da padre essendo Tommaso, il vero padre, mancato già da giovane a causa di un incidente.
            Ma veniamo al punto, a quell'unica avventura che a mio padre era rimasta "scolpita" nella mente come la scena di un film e mi raccontava spesso con tutti i particolari: - L'assalto dei fascisti al Pontedoro.
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                 Cominciamo allora col dire che lo zio Alamanno, più volte sollecitato, non ne aveva mai voluto sapere di prendere la tessera del partito fascista, cosa che oggi avremmo detto assai politicamente scorretta: Un vero antifascista convinto? Macché, non credo proprio; come la maggior parte della gente che all'epoca viveva guadagnandosi il pane giorno per giorno aveva altro da pensare che non alla politica; avessero fatto pure ciò che volevano purché l'avessero lasciato vivere in pace perché ora sentiva addosso il peso della responsabilità di tutta la famiglia, della madre vedova e dei sei fratelli piccoli. Anarcoide quindi, più che antifascista, uno che viveva alla luce del vecchio motto "vivi e lascia vivere", ma di quelli che non sono disposti a farsi imporre da nessuno quello che devono o non devono fare, uno di quelli che, come si dice da noi, per non farsi mettere i piedi in capo sono disposti a giocarsi il tutto per tutto, a qualunque costo.
                 E' una forma caratteriale che viene da lontano,  fa parte ancora della nostra famiglia, di cui mi riconosco anch'io portatore ( non mi ha mai facilitato la vita ) e già vedo nei miei figli tutti i sintomi ( ricordo quando da ragazzi, con alcuni altri fondammo il primo - e unico - gruppo anarchico castagnetano, non pensando nemmeno lontanamente quali nobili tradizioni stavamo perpetuando; una piccola stanza affittata in via Indipendenza ci sembrò un grande traguardo anche se sicuramente ci costò la prima schedatura presso la locale caserma dei carabinieri ). 
                  Come ho detto, una cultura che nella mia famiglia viene da lontano tantoché, non ci crederete ma è un mio avo ( che per l'appunto si chiamava come me ) che nel settecento fu causa di moti e tumulti a Castagneto; di lui dovrò sicuramente parlare a parte, anche per riabilitare la sua memoria che si è tentato ancora oggi di mistificare e minimizzare, ma questa è un'altra storia. ( Per conoscere la vera storia del mio avo omonimo  apri il link LORENZO FANCELLI  ).
                  Ma torniamo allo zio Alamanno al quale, vista la sua irriducibilità politica, fu ufficialmente promessa una "bella lezione" il che significava l'attivazione di una di quelle che già erano tristemente conosciute come squadre punitive fasciste, abituate a manganellare il malcapitato con bastoni e quant'altro nonché "purgarlo",  per finire, con l'olio di ricino.
                  Ma non conoscevano ( i tapini ) lo zio Alamanno che disse:" bene, so dove mi aspetteranno perché ci passo tutti i giorni, è il Pontedoro posto indicato per le aggressioni, fra Castagneto e Sassetta; che vengano, ma ci troveranno anche Balloccia e la vedremo!"
        Ora sarebbe doveroso fare il quadro anche del cugino, da tutti conosciuto come "Balloccia", ma dirò solo che per dotazione fisica fuori del comune aveva forza e coraggio da vendere ( del resto a Castagneto basta dire il nome, suo padre era soprannominato "Coraggio" e lui era Balloccia figlio di Coraggio - la mamma chiamata "La Coraggina"- ).
         Venne quindi il tal giorno che arrivato il barroccio al Pontedoro fu fermato dalla promessa squadra punitiva di camice nere. Alamanno alzò il telo che copriva il carico e a sorpresa balzò fuori Balloccia: La grandine di cazzotti sui "malcapitati" ( non so dire quanti ma di solito erano sempre gruppi di cinque o sei, fatti venire da fuori ) fu tale che tutti, nessuno escluso, finirono di sotto dal ponte, malconci, non più in grado di replicare.
                Sta di fatto che la mia famiglia non ebbe più noie dai fascisti e di questo l'unica spiegazione che mi sono dato è che gli squadristi, non potendo dire la verità ai mandanti perché troppo umiliante, abbiano riferito che l'operazione era stata portata a termine positivamente e doveva considerarsi "sufficiente".
                Posso dunque ricollegare quanto sopra all'abilità di mio padre di condurre cavalli e barrocci, abilità che probabilmente fu quello che lo salvò dalla morte nelle steppe infinite e bianche, bianche a perdita d'occhio, senza alcun punto di riferimento per orientarsi, per capire dove andare, quando non si scatenava la tormenta e allora non vedendo che per pochi metri davanti a te, potevi solo fermarti in un riparo, aspettare, cercando di sopravvivere...

                              
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Capitolo III°      -  L'odissea del rientro.

                                    Fortuna volle che ci fosse un altro accanto a mio padre, un calabrese, un certo Lamberti, anche lui abituato a trattare con i cavalli; un "piccoletto" di fisico ma dotato di una particolare intelligenza, un vivido esempio di quella abilità tutta nostra di mettere a frutto la capacità di arrangiarci nelle peggiori situazioni, di riuscire sempre e in qualche modo a uscirne.
                Insieme avevano capito che l'unica cosa da fare era di spostarsi nell'immensa sconosciuta e disorientante landa bianca, alla ricerca di qualche casolare di campagna dove sicuramente avrebbero trovato qualcosa da mangiare; se lo sarebbero preso, con le buone o con le cattive, in fondo loro avevano il fucile.
                A onore del vero bisogna dire che i russi di quelle zone si dimostrarono sempre gente di grande umanità, gente che era sempre disposta ad accoglierti e a dividere quel poco che avevano da mangiare, gente che subito si affezionava, come se tu non fossi mai stato il loro nemico a questi che chiamavano "italiaski".  Per alcuni la cosa fu reciproca e si aggregarono stabilmente a quelle famiglie che li avevano accolti ( e salvati ) senza più fare ritorno in Italia e spesso formando lì la loro nuova e definitiva famiglia.
               Certo che le prime volte che si avvicinavano ad un casolare, pensando di essere considerati dei nemici aggressori, entravano a fucile spianato ma poi, una volta capito che cercavano solo di sopravvivere, si creava subito un clima diverso, un rapporto che non sarebbe mai stato tale con dei tedeschi. A loro non avrebbero mai concesso nulla, piuttosto si sarebbero fatti ammazzare.
                Spesso i contadini russi nella loro prima ritirata avevano abbandonato le loro case ma sperando in un imminente ritorno avevano nascosto quanto più potevano dei loro averi, ma sopratutto provviste alimentari; generalmente in anfratti negli scantinati poi ben mimetizzati o addirittura in fosse debitamente scavate nelle adiacenze, ricoperte con semplici tavole perché tanto avrebbe pensato la neve a coprire il tutto.
                Ma i nostri che molto presto l'avevano capito, scoprivano quasi sempre qualche nascondiglio generalmente contenente qualche gallina o altri animali di allevamento che una volta scongelati, potevano cuocere o almento tentare di cuocere utilizzando i travicelli delle abitazioni, poiché era l'unica cosa di legno che i russi avevano lasciato, tutto il resto l'avevano bruciato prima di andare via.
                Un giorno sotto un tavolato, ebbero la fortuna di trovare un maiale intero e quella fu una gran festa: - Togliersi la fame di giorni e procurarsi una bella provvista anche per qualche settimana futura gli sembrò un dono del cielo. Certo il maiale non è carne da mangiarsi cruda; andrebbe sempre ben cotta ma quei travicelli che bruciavano erano verniciati ed emettevano un fumo pestilenziale e poi, come dice il poeta, "più che il dolor potè 'l digiuno".
                Cosicché la cottura fu una del tutto sommaria "sbruciacchiata" a quanta più carne poterono caricare e portarsi dietro e le conseguenze non mancarono di farsi sentire: per varie settimane i disturbi intestinali li perseguitarono fino al sanguinamento e quando finalmente si riunirono alle retrovie furono subito inviati agli ospedali da campo in brutte condizioni dove ebbero le prime cure per quella che fu diagnosticata come enterocolite ulcerosa.
                E tuttavia non fu quello il peggiore dei mali che Lido dovette trascinarsi dietro per il resto della vita in quanto a casa poi si scoprì che si era portato la tubercolosi, dilagante fra i soldati denutriti e senza cure perché l'antibiotico giusto ancora non c'era. Un bel problema anche per tutta la famiglia che rischiava di infettare, problema che poi per noi si è rivelato superato diventando addirittura immuni, grazie all'assidua prevenzione anche farmacologica a cui anch'io fui sottoposto fino a tutti gli anni sessanta.


E' l'unica foto pervenuta della partenza per il fronte. Mio padre è l'ultimo a destra



Capitolo IV°  - Finalmente in Italia

                      Il viaggio di rientro su tutto il territorio russo si svolse a piedi, barcamenandosi come già detto anche con l'aiuto del carro, da una masseria all'altra, evitando di imbrancarsi nelle lunghe processioni di fanti che, l'avevano presto capito, sarebbero cadute in massa nelle mani dei russi che li stavano aspettando, come infatti puntualmente accadde. Nessuno aveva più ordini da eseguire perché nessuno sapeva più dove fosse il suo battaglione, né il superiore a cui dovesse rispondere; c'era solo un ordine superiore: salvare la pelle.
                      Poi, varcato il confine della Romania, gli fu possibile usare il treno e allora cambiò tutto: - Il morale si rialzò già sentendosi "a casa" ,  poi c'erano anche razioni regolari da mangiare e l'incubo della neve era  finalmente scomparso.
                      Ma la sorte doveva giocargli ancora un altro tiro mancino. Gli americani infatti si preparavano a sbarcare in Sicilia e laggiù era necessario concentrare le truppe nell'immane sforzo difensivo per bloccare gli alleati; nemmeno i fanti di rientro dalla Russia sarebbero stati risparmiati, anche le loro flebili forze sarebbero state utilizzate a favore di una eroica difesa della patria. Questo voleva il Fhurer e Mussolini non poteva essere da meno.
                      Sta di fatto che Lido, a questo punto si trovava "catapultato" direttamente in Sicilia, a Siracusa ad aspettare lo sbarco americano; già il clima e poi anche la parlata di quella gente poverissima lo avevano assai rinfrancato ed era pronto a qualsiasi altro attacco nemico o sacrificio che fosse stato necessario; come mi diceva sempre: " Avevo fatto la GUERRA ALL'UOMO e ormai non c'era niente che potesse più spaventarmi".

------------Alcuni estratti da documenti storici - 

Lo sbarco degli alleati - 10 Luglio 1943

Nome in codice: " OPERAZIONE HUSKY"

Il piano definitivo per Husky fu in sostanza quello insistentemente proposto dal generale britannico. Coinvolgeva sette divisioni (quattro britanniche e tre statunitensi) che sarebbero sbarcate nella Sicilia sudorientale, in ventisei punti lungo 150 chilometri di costa. Le truppe sarebbero state precedute da aliquote di due divisioni aviotrasportate, un'innovazione che costrinse gli Alleati ad attaccare durante il secondo quarto di luna di luglio, quando il chiarore sarebbe stato sufficiente per permettere ai paracadutisti di vedere senza compromettere la sicurezza della flotta lungo la rotta d'avvicinamento finale. Nel complesso furono schierate tredici divisioni. Il 2 maggio, ad Algeri, si svolse la riunione definitiva che fissò al 10 luglio la data dell'operazione. Il generale Alexander comunicò a operazione Mincemeat ("carne tritata"). All'interno dell'alto comando italiano prevaleva intanto il pessimismo: a Roma, durante un vertice militare, il generale Mario Roatta spiegò che lo sbarco previsto dagli Alleati si poteva ostacolare, ma non impedire; l'ammiraglio Arturo Riccardi, capo di stato maggiore della Regia Marina, escluse in partenza qualsiasi azione delle sue forze da battaglia contro la flotta nemica..
Zona palermitana bombardata
Montgomery che «il suo piano è stato approvato dal comandante in capo», e il generale britannico fu messo a capo della East Task Force (ETF) formata in tutto da sei divisioni, mentre Patton assunse il comando della West Task Force (WTF) con cinque divisioni. Nel contempo si diede la massima accelerazione allo sforzo organizzativo, congiunto a una complessa azione di depistaggio e inganno sulle reali intenzioni degli Alleati.
Nel frattempo migliaia di imbarcazioni alleate si stavano riunendo lungo le coste meridionali del Mediterraneo, «la flotta più gigantesca di tutta la storia mondiale» osservò l'ammiraglio statunitense Henry Hewitt. La flotta fu suddivisa in due task force, la Easter Naval Task Force formata soprattutto da navi della Mediterranean Fleet sotto il comando dell'ammiraglio britannico Bertram Ramsay e distribuita nei porti di Libia ed Egitto, e la Western Naval Task Force formata soprattutto da navi provenienti dalla United States Eighth Fleet sotto il comando dall'ammiraglio Hewitt e basata in sei porti algerini e tunisini. Infine, una divisione canadese sarebbe giunta direttamente dal Regno Unito. La 7ª Armata contava circa 80 000 uomini, più o meno altrettanti ne aveva l'8ª Armata e altri sarebbero sbarcati successivamente di rinforzo a entrambe. Tutte le unità dovevano riunirsi il 9 luglio in mare, al largo di Malta; per nascondere agli italo-tedeschi l'assembramento di quasi 3 000 navi si contava sull'effetto sorpresa, sulle operazioni di depistaggio come Mincemeat e su severe restrizioni imposte dalla censura alle lettere che gli uomini scrivevano alle famiglie. Un importante vantaggio strategico derivò in particolare dalla supremazia aerea alleata, che rese in pratica impossibili efficaci ricognizioni, incursioni o azioni di interdizione alla Luftwaffe e alla Regia Aeronautica. A tale scopo, a partire dal 2 luglio i campi di aviazione in Sicilia furono sottoposti ad attacchi massicci e continui che indebolirono sensibilmente le forze aeree dell'Asse.

 L'occupazione di Siracusa e la caduta di Augusta

Le linee di avanzata degli Alleat in Sicilia

Il brillante successo degli sbarchi britannici aveva convinto il generale Montgomery che la situazione era molto favorevole e che sarebbe stato possibile avanzare audacemente in profondità; egli prevedeva un attacco principale verso Catania con il XIII Corpo d'armata del generale Dempsey, mentre una manovra secondaria sarebbe stata effettuata all'interno dalla Harpoon Force del generale Leese in direzione di Caltagirone, Enna e Leonforte. Montgomery era ottimista: il 12 luglio scrisse al generale Alexander che sperava «di catturare Catania intorno al 14 luglio».
Fallschirmjäger armati di MG 42

Il 12 luglio cadde Augusta, che assieme a Siracusa rappresentava una piazza marittima di grande importanza operativa per Eisenhower, poiché questi porti dovevano servire per lo sbarco del grosso del corpo di spedizione alleato che avrebbe operato durante le fasi di avanzata verso Catania e oltre. Scrisse a tal proposito Alexander: «L'intera impresa dipendeva dall'impadronirsi dei porti di Siracusa e Augusta, e se possibile di Catania, al più presto possibile dopo lo sbarco». Il fronte a mare di Augusta comprendeva il tratto litorale tra le due città portuali e rappresentava potenzialmente « un serio ostacolo all'attuazione dei piani del nemico per il numero e la potenza delle artiglierie e la vastità del loro campo di tiro sulle rotte di avvicinamento dal mare e sugli ancoraggi». Ma nonostante i pericolosi cannoni da 381 mm, le numerose artiglierie costiere e contraeree e le fortificazioni di prim'ordine, la piazza di Augusta fu abbandonata dagli italiani senza neppur avere tentato di usare le artiglierie che impensierivano la flotta britannica. Infatti già dal 9 luglio dopo i primi avvistamenti a largo della flotta d'invasione, fu comunicato dai comandi della piazza marittima l'ordine di predisporre la distruzione delle batterie, e non quello di utilizzarle per contrastare eventuali attacchi anglo-americani dal mare, così quando le truppe aviotrasportate Anapo, nell'immediato entroterra della piazzaforte, le batterie erano già deserte. La stragrande maggioranza degli italiani, dopo aver reso inutilizzabili le artiglierie e bruciato i depositi di carburante, depose le armi ancor prima che le navi britanniche si presentassero a largo di Augusta, lasciando la città e le strutture portuali pressoché abbandonata. Nell'entroterra di Augusta solo alcuni reparti italiani raccogliticci guidati dal comandante della piazzaforte Priamo Leonardi, in collaborazione con alcuni reparti della "Göring", tentarono di contrastare sull'Anapo le truppe britanniche provenienti da Avola, ma la superiorità degli alleati fu schiacciante e dopo aver occupato definitivamente il ponte sul fiume, il 13 entrarono ad Augusta. Quando la squadra navale dell'ammiraglio Thomas Hope Troubridge fece la prima puntata contro la piazza marittima la mattina del 12 luglio, solo uno stormo di Stuka della Luftwaffe comparve a difesa delle coste colpendo il cacciatorpediniere Eskimo, ma nel pomeriggio, appresa l'assenza del nemico, la piccola squadra di Troubridge entrò nella intatta rada di Augusta senza incontrare resistenza.






  Filmato USA







Truppe britanniche in Sicilia

Gruppo di prigionieri italiani a Siracusa: Forse mio padre è tra loro.
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Tutte le informazioni per vedere i luoghi dell'operazione Husky

Capitolo 5°  -      

   DALLA SICILIA AI CAMPI DI LAVORO IN INGHILTERRA   


        Siracusa iniziò a subire numerosi bombardamenti a partire dal febbraio 1941. Da allora alla fine della guerra, il 25 aprile del 1945, le incursioni aeree furono ben 923!

 

Lo Sbarco in Sicilia delle truppe Alleate angloamericane avvenne nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1943 lungo le coste meridionali e sudorientali della Sicilia fra Pachino e Capopassero a Sud di Siracusa.

 Mio padre è di nuovo lì sul fronte, pronto ad attendersi qualsiasi scontro, anche “all’arma bianca”, ma col cuore in pace perché, dopo aver fatto, come mi diceva spesso, “ la guerra all’uomo”,  niente gli dava più paura né preoccupazione; la vita era giorno per giorno e il pensiero della morte ti accompagnava come qualcosa di ineluttabile, di scontato e ormai accettato, qualcosa di cui non puoi più fare a meno, un fedele compagno di ogni minuto del giorno e della notte.


Durante i bombardamenti, degli Angloamericani prima e dell’aviazione tedesca dopo, decine di migliaia di cittadini preferirono abbandonare la città per i paesi in campagna, mentre quelli rimasti in città, a ogni nuovo allarme, si precipitavano nei rifugi antiaerei, appositamente predisposti sin dal 1940. L’Ispettorato per la Protezione Antiaerea della Prefettura di Siracusa aveva infatti censito tutte le cavità sotterranee da utilizzare per la realizzazione dei ricoveri, come le Catacombe dei cristiani, che loro chiamavano “latomìe”.




  Da mesi ormai frequentava quel luogo e aveva avuto occasione di conoscere abbastanza la povera gente che vi abitava, gente che seppure abbrutita dalle conseguenze di una guerra che la consumava fin dal ‘41 viveva nell’indigenza anche culturale di una società degradata e arretrata, assoggettata ai vari mafiosi locali, in condizioni igieniche disperate ( il centro storico era una fogna a cielo aperto, al mattino le deiezioni venivano scaricate direttamente fuori dalle finestre ); nessuno avrebbe detto che quella era stata due millenni prima la culla della scienza italica ai primi albori.

 

 Eppure quelle stesse organizzazioni “di sussistenza” che dominavano incontrastate su tutta l’isola ora si adoperavano per prendere accordi con gli alleati a garanzia di uno sbarco senza alcuna nostra reazione mostrandosi così come protettori della popolazione inerme ma allo stesso tempo assicurandosi il mantenimento dello status quo, come puntualmente avvenne.

        

Il fatto che la mafia avrebbe aiutato gli Alleati durante lo sbarco in Sicilia è spesso rifiutato dagli storici ( specialmente siciliani ). In particolar modo si parla dell’intervento del gangster italo-americano Lucky Luciano; ci sarebbe stato, in altre parole, un complotto tra mafiosi e servizi segreti statunitensi volto a promuovere l’occupazione dell’isola. Ovviamente prove certe non sono mai venute fuori ma tutto depone a favore di questa versione, non ultimo il fatto che a fine operazioni tutti i maggiori boss mafiosi ebbero dagli stessi occupanti gli incarichi chiave nell’amministrazione dell’isola: Da allora “Cosa Nostra” fa il grande salto di qualità che perdura fino ai giorni nostri; non più organizzazione contrapposta allo stato ma organizzazione dentro lo stato con la collaborazione ( mai confermata e mai smentita ) di politici e ministri dello stato.


Riporto integralmente dal sito FOCUS:  “…la liberazione dal nazifascismo costò cara all'Italia: la popolazione pagò con stragi, violenze e stupri e la mafia venne pericolosamente legittimata. «Quando sbarcheremo di fronte al nemico, non esitate a colpirlo. [...] Non mostreremo pietà. [...] Il bastardo cesserà di vivere. Avremo la nomea di assassini... E gli assassini sono immortali». È così che il generale americano George Smith Patton aizzava, nel luglio del 1943, i suoi uomini, alla vigilia dello sbarco alleato in Sicilia, dove, per la cronaca, i bastardi da colpire erano i soldati italiani.

La guerra è guerra, si sa. Ma il discorsetto motivazionale redatto dal "generale d'acciaio" - questo il soprannome di Patton, che amava girare con un cinturone da cowboy da cui pendevano due luccicanti Colt calibro 45 - funzionò anche troppo. Tanto che alcuni soldati a stelle e strisce, inebriati da quelle parole di fuoco, estesero il concetto di nemico anche ai civili. Così l'Operazione Husky liberò sì l'isola dal nazi-fascismo, ma al prezzo di una lunga serie di crimini di guerra. --

Siccome poi, come sappiamo oggi, lo sbarco fu reso possibile dall'aiuto di noti mafiosi, che non tardarono a diventare i nuovi padroni dell'isola, non stupisce che dietro alle immagini di festa, con lanci di cioccolata e sigarette da parte dei soldati americani, il nostro D-Day nasconda un inquietante lato oscuro

Americani sotto processo. ( sempre da FOCUS )  A denunciare le violenze statunitensi (assai meno numerose di quelle nazifascite) furono gli stessi americani. In particolare il cappellano William King, chiamato il 14 luglio ad Acate da alcuni soldati che gli confidarono di provare vergogna per quello che stava succedendo e che gli mostrarono anche i corpi delle vittime di Compton e West. Nonostante i tentativi di Patton di insabbiare tutto, le voci di queste stragi cominciarono a diffondersi.

«Dalle indagini storiche, dalle inchieste giornalistiche, dai processi della corte marziale americana e da numerose testimonianze emergeranno chiaramente le responsabilità di Compton, West e McCaffrey», racconta Carloni: «l'unico a essere condannato fu però West: si beccò un ergastolo, ma fu poi graziato. Dalle inchieste emerse inoltre che alcuni soldati americani si erano lasciati andare a stupri e saccheggi.»


La mafia raggiunge le leve del potere. A lungo relegate nell'oblio dall'euforia della liberazione dalla dittatura, ben presto iniziarono anche le operazioni per ripagare la mafia per i suoi servigi. Gli americani, in cerca di uomini da sostituire alle autorità fasciste, assegnarono cariche a più di un personaggio "al di sotto di ogni sospetto". Per esempio a don Calogero Vizzini, nominato sindaco di Villalba, o a Vito Genovese, pregiudicato promosso interprete ufficiale dell'Amministrazione alleata nella Sicilia occupata.

«A beneficiare della generosità Usa fu anche Giuseppe Genco Russo, boss che dopo aver avuto un ruolo di primo piano nel coordinamento delle fasi post sbarco fu messo a capo della cittadina di Mussomeli».

«Poi fu la volta di Nicola "Nick" Gentile, a cui fu affidata la gestione del territorio di Agrigento, e di Vincenzo Di Carlo, nominato responsabile dell'Ufficio per la requisizione dei cereali. Gli Alleati fecero cioè un pericoloso passo verso la legittimazione della mafia, che dopo l'Operazione Husky intraprese la sua decisiva escalation.»”


Catturati in grandi quantità sui fronti africani tra 1941 e 1943, e trasferiti nella madrepatria britannica perché ritenuti, a differenza dei tedeschi, non pericolosi per quanto riguardava la sicurezza interna, innocui da un punto di vista politico, incapaci da un punto di vista militare, ma adeguati a rimpiazzare la manodopera autoctona nelle tenute agricole britanniche, gli italiani vissero in Gran Bretagna una cattività che, da un punto vista strettamente materiale, può essere considerata «buona». Furono ben nutriti, ben alloggiati, curati; svolsero un lavoro retribuito e sicuro, ebbero la possibilità di istruirsi e di svagarsi. Ciononostante la prigionia – condizione perdurante che non venne modificata, per volontà dei detentori, neanche dall’armistizio del settembre 1943, dalla successiva cobelligeranza, dalla cooperazione e addirittura dalla fine della guerra – fu devastante da un punto di vista psicologico: disprezzati dalla popolazione – che spesso e volentieri li irrideva chiamandoli «wops», guappi, terroni – e dalle autorità detentrici, utilizzati come manodopera a basso costo a completa discrezione del governo britannico, dimenticati dalle autorità italiane post fasciste, quando non usati come «merce di scambio» per la cobelligeranza o per un trattato di pace meno duro, i soldati furono trattenuti in prigionia fino al 1946 inoltrato, quando cominciarono a rientrare in patria, e si trasformarono in una massa di reduci sconfitti, che l’Italia affannata del dopoguerra avrebbe visto volentieri partire di nuovo, in veste di emigranti.

AMMASSATI SULLA QUEEN MARY

            Ho tralasciato di dire qualcosa di indubbiamente importante in questa storia: mio padre era nato nel 1921 e quindi quanto aveva nell'inverno del 1942 mentre si trovava nelle trincee dul Don?  A volte mi sembra di parlare di cose del tutto irreali perché non so voi, ma io, alla luce dei miei ormai superati settanta,  a quell'età non avrei resistito tre giorni, questo è poco ma sicuro.     ...

  

...continua...









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